Filosofare/2 – “Amicizia e politica: una duplice crisi”

Pubblichiamo il secondo contributo del progetto “Filosofare” a cura dei professori di Filosofia del Liceo. Ricordo che al primo si accede cliccando sulla civetta a destra (ve ne eravate mai accorti?), che purtroppo non è vista da chi ha il tablet. Ma stiamo lavorando per voi per mettere tutto in ordine…

“Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica). Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano. Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini? »  «A tutti – rispose Zeus – e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia»”. (Platone, Protagora, 322)

“Per i Greci, l’essenza dell’amicizia consisteva nel discorso. Essi sostenevano che solo un costante scambio di parole poteva unire i cittadini in una polis. Nel discorso si rendeva manifesta l’importanza politica dell’amicizia, e l’umanità che la caratterizza. Il dialogo (a differenza del colloquio intimo, in cui gli individui parlano di se stessi) per quanto intriso del piacere relativo alla presenza dell’amico, si occupa del mondo comune, che rimane “inumano” in un senso del tutto letterale finchè delle persone non ne fanno costantemente argomento di discorso tra loro.” (Arendt H., L’umanità in tempi bui, p. 85)

La lettura del Protagora e del breve saggio di Hannah Arendt hanno stimolato all’interno della nostra classe un dibattito sul significato della politica, intesa non come sovranità o forma di governo ma come condivisione di un mondo comune. La discussione ci ha portato ad alcune conclusioni che intendiamo proporre in questa sede per un eventuale confronto.
Il problema oggi nasce dal fatto che viviamo all’interno di una crisi caratterizzata tra le altre cose da grande incertezza e sfiducia, dall’incapacità di reale confronto con l’altro ed estraneità alla sfera della vita pubblica.
La riflessione contemporanea insiste molto sul tema del “declino dell’uomo pubblico”, alludendo all’indebolimento dei legami sociali e alla disaffezione alla politica. Il rapporto con l’altro viene concepito in termini puramente strumentali, come mezzo necessario alla realizzazione dei propri interessi.
Viene da chiedersi se sia possibile colmare questo deficit di solidarietà, pensare il legame sociale non solo come “mezzo”, ma anche come “fine”. Senza però cadere nell’opposto dell’individualismo e cioè nelle forme chiuse di comunità caratterizzate da estrema coesione emotiva, che nasce dal bisogno di identificazione e appartenenza, e che possono esprimersi in forme di violenta esclusione del diverso. A volte, soprattutto nei momenti di crisi, gli uomini sentono un forte bisogno di avvicinarsi gli uni agli altri, desiderando avere a che fare solo con persone con cui non trovarsi in conflitto, cercando la prossimità eccessiva di una fraternità che cancella tutte le distinzioni.
Alexis de Tocqueville, nel saggio La democrazia in America, sostiene che la democrazia può contrastare le derive dell’individualismo moderno e al contempo prevenire i pericoli delle comunità organiche che limitano la pluralità e rifiutano le differenze. La democrazia, pur avendo dei limiti, perché per esempio può produrre omologazione e indifferenza al bene comune, ha in sé i propri correttivi, perché in quanto “eguaglianza di condizioni” può dar vita a forme sempre nuove di aggregazione e condivisione sociale. Infatti de Tocqueville dice che la democrazia si può “educare”, correggendone i limiti e valorizzandone le potenzialità. Questa eguaglianza di condizioni fa sentire gli uomini uniti, membri di una comunità, soggetti di un ethos comune fondato sulla philia, dove l’altro non è rivale, nemico, mezzo o realtà indifferente, ma “amico”.
Anche secondo Hannah Arendt l’amicizia ha rilevanza politica, non è “… solo un fenomeno di intimità, in cui gli amici aprono la loro anima senza tener conto del mondo e delle sue esigenze”, ma risulta legame propriamente politico. La scrittrice si domanda se sia possibile vivere umanamente in un mondo sconvolto dalla violenza dello scontro ideologico, dai totalitarismi, nei “tempi bui dell’umanità” e, ispirandosi al pensiero dell’illuminista tedesco Lessing, ritiene che l’amicizia si manifesti nella disponibilità a condividere il mondo con altri uomini, nel dialogo, che può essere anche conflitto ma non è mai competizione: “Noi umanizziamo ciò che avviene nel mondo e in noi stessi solo parlandone e, in questo parlare, impariamo a diventare umani. […] Il senso di una azione si rivela solo quando l’azione si è compiuta e diventa una storia suscettibile di narrazione”. Secondo Arendt, per la costruzione di un mondo umano la verità dovrebbe essere sacrificata all’amicizia: per esempio, anche supponendo che le dottrine razziste siano dimostrabili con evidenza scientifica, non potrebbero giustificare il sacrificio di una sola amicizia tra gli uomini. La verità non esiste se non dove può essere umanizzata dal discorso, dove ognuno dice ciò che gli “sembra verità”, così da alimentare il confronto continuo che è la cosa che ci rende più “umani”, che lega e separa gli uomini in uno spazio a più voci che, insieme, formano il mondo, stimolandoci ed incoraggiandoci ad agire.

La classe 1^F Classico, Liceo Leopardi-Majorana, Pordenone
Anno scolastico 2012-2013

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